on ci sono dubbi sull’importanza della disciplina del trattamento di fine rapporto, introdotta in Italia da ormai quasi mezzo secolo per assicurare una buonuscita ai dipendenti. La scelta se lasciare il TFR in azienda oppure spostarlo in un fondo pensione, però, può far sorgere qualche perplessità. Cosa è meglio preferire tra le due opzioni?
Vediamo qual è la normativa vigente su questo argomento e quali sono i punti di partenza per prendere una decisione consapevole. In più, ti spieghiamo quando si può richiedere il TFR in azienda, qual è la tassazione e cosa fare per destinarlo a una forma di previdenza complementare.
Come funziona il TFR maturato in azienda
Visti i cambiamenti rapidissimi degli scenari economici, politici e sociali del nostro Paese (e di tutto il mondo, in realtà), è bene poter contare su una situazione finanziaria personale che assicuri il giusto livello di tranquillità, soprattutto per il futuro. Abbiamo affrontato cos’è il TFR e come funziona, ma è bene anche ragionare su tutti gli scenari possibili.
Il primo e il più classico è quello del TFR in azienda. Il trattamento di fine rapporto è infatti nato come accantonamento gestito dal datore di lavoro: la sua introduzione ufficiale è stata con la Legge n. 297 del 1982, ma è poi stata perfezionata all’inizio del nostro secolo. La riforma del 2005, infatti, ha regolato la scelta di destinazione del trattamento di fine rapporto, o meglio tra TFR in azienda oppure in un fondo pensione.
Ricordiamo che il trattamento di fine rapporto viene calcolato sull’importo dello stipendio lordo annuale, diviso per 13,5. Così facendo, di mese in mese i dipendenti mettono da parte una somma a cui accedere contestualmente alla liquidazione del TFR in busta paga, a cui si aggiunge la rivalutazione variabile e fissa.
Se prima il “tesoretto” veniva lasciato in azienda, con la riforma del 2005 si è scelto di valorizzare fiscalmente lo spostamento delle quote nella formula di previdenza integrativa scelta dal dipendente. Per questo motivo, contestualmente a una nuova assunzione ogni dipendente deve indicare quale tra le due opzioni preferisce.
Cosa succede se si lascia il TFR in azienda?
Molto semplicemente, chi lascia il TFR in azienda potrà eventualmente richiedere un anticipo e, ovviamente, la liquidazione finale che in genere avviene con l’ultima retribuzione. Ma cosa fa il datore di lavoro con quanto messo da parte? La risposta a questa domanda dipende dal numero di personale, ovvero se i dipendenti sono più o meno di 50.
Azienda con meno di 50 dipendenti
Nel caso delle aziende con meno di 50 dipendenti, il trattamento di fine rapporto è gestito direttamente dal datore di lavoro. Questo significa accantonare le quote ed erogarle quando necessario, ad esempio se il rapporto di lavoro si conclude. E, di conseguenza, in caso di fallimento dell’azienda i lavoratori potrebbero faticare a ottenere subito quanto dovuto.
Azienda con più di 50 dipendenti
Le aziende che hanno almeno 50 dipendenti, invece, sono obbligate a versare l’accantonamento al Fondo Tesoreria dell’INPS. Al momento di lasciare il posto di lavoro per licenziamento, dimissioni o pensionamento, l’azienda stessa inoltra la domanda di intervento al Fondo di Tesoreria, affinché venga pagato quanto dovuto entro 30 giorni. Lo stesso vale anche per gli anticipi.
Importante: questo vale per i dipendenti privati, perché le regole relative al TFR dei dipendenti pubblici sono diverse.
Come recuperare il TFR lasciato in azienda
Il TFR in azienda si accumula di mese in mese, e di anno in anno. Al momento dell’erogazione, la tassazione del TFR varia in base alla destinazione. Nel caso si sia scelto di lasciarlo in azienda, si applicano le aliquote IRPEF sul totale (dal 23% al 43%). Le imposte vengono quindi pagate solo alla fine, non durante la maturazione.
Ma come richiederlo? Il TFR in azienda viene pagato automaticamente alla fine del contratto. Si può inoltre domandare un anticipo, a patto che si rispettino le condizioni indicate dal Legislatore. Ma non è detto che la risposta sia positiva, persino se la richiesta è valida. Il datore di lavoro può infatti concedere gli anticipi solo al 10% degli aventi diritto e al 4% della forza lavoro totale.
Nel caso in cui la liquidazione non avvenga secondo i termini prestabiliti, bisogna seguire le procedure per richiedere il TFR lasciato in azienda. Dopo aver contattato le risorse umane o l’amministrazione, se la situazione non si sblocca bisogna inviare una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o una email certificata.
E se l’azienda continua a non pagare?
Nell’eventualità in cui il pagamento continui a non essere completato, il passaggio successivo è l’invio di un reclamo direttamente all’INPS, completo di tutti i documenti necessari. L’ente potrà seguire il caso e fare tutto il possibile. L’ultima freccia nell’arco per i dipendenti consiste nel rivolgersi a uno studio di avvocati e affidare a loro la pratica, ovviamente sostenendo un costo per la procedura legale.
Spostare TFR da azienda a fondo pensione: come fare?
Considerate tutte queste variabili e i rischi del TFR in azienda, i dipendenti possono valutare di destinare il TFR a un fondo pensione. Questa decisione permette di ottenere delle significative agevolazioni fiscali, oltre che un controllo mirato sui propri capitali.
Dal punto di vista della somma finale, la tassazione va da un massimo del 15% a un minimo del 9%, in base agli anni di permanenza nel fondo. Come abbiamo anticipato, per il TFR in azienda si parla di minimo il 23%, quindi c’è una bella differenza. La previdenza complementare prevede poi un rendimento soggetto all’imposta sostitutiva del 12,5% per i Titoli di Stato e del 26% per tutti gli altri tipi di investimento (il TFR in azienda prevede una rivalutazione, ma non un rendimento).
E allora come spostare il TFR dall’azienda al fondo? Quando si viene assunti, è possibile compilare l’apposito modulo per indicare dove si vuole destinare la quota accumulata. Se entro sei mesi non si provvede alla compilazione, scatta la regola del silenzio-assenso e il TFR resta in azienda.
Tuttavia, sarà comunque possibile cambiare idea in qualsiasi momento e optare per la pensione integrativa. Il datore di lavoro provvederà quindi a versare la somma dove indicato. In ogni caso, considerati i vantaggi di una permanenza prolungata nel fondo pensione, è consigliabile iniziare fin da giovani e assicurarsi così tanti anni di contributi integrativi.
In più, si può aggiungere il welfare
Nel caso l’azienda offra anche un pacchetto di benefit, sarà possibile far confluire il welfare nella pensione integrativa. Si potrà così contare su un capitale maggiore e approfittare della deducibilità: quanto versato nel fondo si può infatti detrarre dall’imponibile IRPEF, abbassando l’imposizione fiscale nel 730.
Ad esempio, grazie alla soluzione Welfare Coverflex le imprese possono erogare al personale un pacchetto variegato di benefit da usare per beni e servizi in natura. E anche per la pensione integrativa! Così facendo sia l’azienda sia i dipendenti ci guadagnano sotto diversi punti di vista. E pensare al futuro diventa più dolce…
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