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ai sentito parlare di retribuzione utile per il TFR, ma non sai bene di cosa si tratti? Niente paura: siamo qui per spiegarti tutto. È un concetto fondamentale per chi ha un contratto di lavoro subordinato, visto che determina l’ammontare del “tesoretto” accantonato durante gli anni di impiego presso un’azienda.

Vediamo non solo cosa vuol dire retribuzione utile ai fini TFR, ma anche di cosa si compone e cosa succede in determinate situazioni (ad esempio, in caso di licenziamento). In più, nella nostra guida trovi anche qualche esempio in base ai CCNL.

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Cos’è la retribuzione utile ai fini del TFR

Se hai un contratto da dipendente, molto probabilmente saprai già che cos’è il TFR. Ma come si forma nella pratica? Prima di arrivare alla tanto attesa liquidazione del trattamento di fine rapporto (o a un anticipo, in caso di necessità), la somma si accumula nel tempo seguendo delle norme ben precise.

Per retribuzione utile ai fini del TFR si intendono le varie voci dello stipendio che concorrono alla quota maturata di mese in mese. Queste vengono specificatamente indicate dal contratto nazionale di categoria e, sommate, sono la “base” su cui avviene il calcolo della tanto attesa buonuscita.

Cosa rientra nella retribuzione utile?

La retribuzione utile per il TFR in busta paga include voci diverse. Partiamo dalla principale, che è ovviamente la retribuzione base. Come indicato dall’articolo 2120 del Codice Civile, che regola la disciplina del trattamento di fine lavoro, vanno incluse le varie somme che il datore di lavoro versa in modo non occasionale, come: 

  • scatti di anzianità;
  • straordinari;
  • trasferte;
  • superminimo;
  • festività.

Sono invece esclusi i rimborsi spese. Tuttavia, va detto che il Codice Civile considera l’intero ventaglio delle voci retributive. Bisogna invece fare riferimento allo specifico CCNL per chiarire il concetto di “non occasionale”, che può risultare troppo esteso e vago, e trovare eventuali eccezioni. Questo perché, secondo il Legislatore, la contrattazione collettiva può dare indicazioni su cosa includere o escludere nella retribuzione utile TFR.

Retribuzione utile TFR in caso di licenziamento

Una volta spiegate queste linee generali, scendiamo più nel dettaglio. Ad esempio, cosa succede se un dipendente che ha lasciato il TFR in azienda viene licenziato? Nulla, in realtà: il trattamento di fine rapporto è sempre dovuto, indipendentemente da come si è interrotto il rapporto lavorativo. E lo stesso vale per la retribuzione utile al TFR. 

Ricordiamo che, in caso di licenziamento, cambia qualcosa nel pagamento del TFR per i dipendenti pubblici. Precisiamo però che si tratta della tempistica, non del calcolo della somma dovuta: in pratica, servirà più tempo per poter accedere a quanto accumulato durante gli anni di servizio.

E in caso di sospensione dell’attività lavorativa?

Vale la pena ricordare cosa succede quando non si lavora, ad esempio a causa di una malattia. Anche in questo scenario, non cambia nulla: il TFR continua comunque ad accumularsi. Lo stabilisce il già citato articolo 2120 del Codice Civile, che elenca anche le altre cause di sospensione, come la cassa integrazione.

Retribuzione utile al TFR in busta paga

Sebbene possa essere indicata con nomi leggermente diversi, in base all’azienda, la retribuzione utile ai fini TFR è di norma già presente in busta paga. Non c’è quindi bisogno di fare calcoli: basta infatti cercare nel cedolino l’apposita voce, in genere affiancata a quanto TFR è stato accumulato fino alla fine dell’anno precedente e la quota relativa al mese in corso.

Tuttavia, non è l’unico scenario possibile: il nostro sistema normativo prevede infatti la possibilità di scelta della destinazione del trattamento di fine rapporto. Contestualmente all’inizio di un nuovo rapporto lavorativo, i dipendenti possono infatti decidere se lasciare il TFR in azienda oppure “deviarlo” su una forma di pensione integrativa.

Nel caso si scelga di destinare il TFR a un fondo pensione, si possono ottenere diversi vantaggi. Innanzitutto, la tassazione del trattamento di fine rapporto sarà più leggera. A questo si aggiunge la deducibilità dei contributi, che consente di abbattere l’imponibile ai fini IRPEF dei dipendenti.

Esempio retribuzione utile TFR in base al CCNL

Come anticipato, non è solo il Codice Civile a dettare legge sulla retribuzione utile per il TFR. Per sapere come funziona nel dettaglio, bisogna infatti consultare il CCNL del comparto in cui si lavora: è proprio la contrattazione nazionale ad avere l’ultima parola sulle voci da includere. 

Facciamo qualche esempio di retribuzione utile ai fini TFR per alcuni tra i CCNL più rilevanti in Italia.

  • CCNL metalmeccanici: esclude gli straordinari e la tredicesima.
  • CCNL terziario e commercio: sono esclusi lavoro straordinario e festivo, indennità sostitutiva di ferie e indennità sostitutiva del preavviso.
  • CCNL ristorazione e turismo: dal 2021 include gli scatti di anzianità, che prima erano esclusi.

A tal proposito, nel caso in cui la contrattazione nazionale preveda il welfare, c’è un’opportunità interessante da cogliere. Nell’eventualità in cui si scelga di spostare il TFR nel fondo pensione, sarà infatti possibile contribuire alla previdenza integrativa anche tramite il welfare. 

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