l trattamento di fine rapporto è una delle voci principali della busta paga: chiunque abbia avuto almeno un contratto come dipendente, avrà notato la relativa dicitura nel cedolino. Sebbene venga corrisposto solo alla conclusione del rapporto di lavoro, matura durante tutta la sua durata. Ma come funziona il TFR nella pratica?
Ci sono tante variabili da considerare, dalla tassazione alla possibilità di richiedere un anticipo prima della liquidazione finale. Vediamo come si calcola e cosa dice l’attuale normativa in merito alla destinazione del welfare nel TFR.
Cos’è il trattamento di fine rapporto (TFR)
Il trattamento di fine rapporto, comunemente chiamato liquidazione, buonuscita oppure con l’acronimo TFR, è la somma di denaro che ogni dipendente riceve alla fine del suo contratto lavorativo. In pratica, rappresenta il “gruzzolo” accantonato forzatamente durante tutto il periodo di occupazione, che poi viene corrisposto al termine del rapporto (o in alcuni casi anticipatamente, come vedremo in seguito).
Il datore di lavoro ha l’obbligo di accantonare il TFR secondo quanto indicato dalla normativa vigente. A tal proposito, il trattamento di fine rapporto fa la sua prima comparsa ufficiale nel nostro ordinamento tramite la legge n° 297 del 1982, sostituendo la precedente indennità di anzianità.
Dopo questo primo aggiornamento, volto a rimodulare la versione precedente per ampliare la platea di beneficiari e il calcolo, nel 2005 abbiamo una vera e propria riforma del TFR. Attraverso il decreto legislativo n° 252, il Legislatore incentiva il ricorso alla previdenza complementare: a partire dall’entrata in vigore della legge, nel gennaio 2007, i dipendenti possono infatti scegliere se mantenere il TFR in azienda o destinarlo a un fondo pensione.
A chi spetta il TFR
Il trattamento di fine rapporto spetta ai dipendenti del settore pubblico e privato, ovvero a chi ha un contratto di lavoro subordinato. La modalità di cessazione del rapporto non influisce in alcun modo: che si tratti di dimissioni volontarie, licenziamento, pensionamento o risoluzione consensuale, ogni dipendente ha sempre diritto alla somma accumulata. Il TFR non spetta, invece, ai lavori autonomi.
Come si calcola il TFR?
Dopo aver spiegato che cos’è il TFR in busta paga, passiamo alla pratica: a quanto ammonta? Per saperlo, bisogna seguire la procedura di calcolo del trattamento di fine rapporto. Ci sono però tanti elementi da considerare, tra cui:
- la retribuzione lorda annuale del dipendente;
- eventuali bonus o premi;
- il numero di anni di lavoro;
- altre variazioni dello stipendio o del contratto.
Ciò detto, la formula di calcolo del TFR classica prevede che dalla retribuzione lorda annuale venga prima detratta la quota dell’INAIL, che ammonta allo 0,50% dello stipendio. Bisogna poi moltiplicare il valore per gli anni di servizio e infine dividere per 13,5.
Bisognerà inoltre aggiungere anche il tasso di rivalutazione del TFR di 1,5% in misura fissa ogni anno, oltre al 75% dell’indice di rivalutazione dei prezzi fornito dall’ISTAT rispetto all’anno precedente.
Anticipo e liquidazione del TFR: come funzionano
Fino a questo punto, abbiamo considerato il TFR quando viene pagato alla fine del rapporto di lavoro. Come abbiamo visto, però, i dipendenti possono chiedere un anticipo.
Anticipo del TFR
Nel corso della vita di ogni persona possono verificarsi delle condizioni particolari che comportano spese impreviste. Proprio per questo motivo, i dipendenti possono richiedere di accedere parzialmente a quanto accumulato. L’anticipo del TFR può essere concesso in caso di:
- spese sanitarie di carattere straordinario;
- spese di acquisto per la prima casa;
- spese per i congedi di maternità;
- spese per la formazione.
È possibile richiedere solo fino al 70% del trattamento di fine rapporto. In più, è concesso solo un anticipo e dopo almeno otto anni di servizio.
Liquidazione del TFR
La liquidazione del TFR scatta contestualmente alla conclusione del rapporto di lavoro. Di norma, l’azienda deve corrispondere la somma insieme all’ultima busta paga o al massimo dopo 30-45 giorni dalla risoluzione del contratto, ma i termini esatti sono solitamente indicati nel CCNL di categoria.
TFR di aziende fallite
Nel caso in cui l’azienda inizi una procedura di fallimento proprio durante la richiesta del trattamento di fine rapporto, i tempi potrebbero purtroppo allungarsi. Pur mantenendo il diritto alla liquidazione, i dipendenti potrebbero dover attendere di più. È però possibile richiedere il TFR all’INPS, che farà ricorso al fondo di garanzia a tutela dei dipendenti privati.
Destinazione del TFR
Come abbiamo visto, la recente riforma del trattamento di fine rapporto ha previsto la possibilità di scegliere dove destinare il TFR. In pratica, lasciarlo in azienda non è l’unica strada possibile: i dipendenti possono aderire a una forma di previdenza complementare gestita da intermediari finanziari o parti sociali, su cui “deviare” quanto accumulato ogni anno.
Sulla scelta della destinazione del trattamento di fine rapporto vige la regola del silenzio assenso: in mancanza di una diversa indicazione entro sei mesi dall’assunzione, il TFR resta in azienda. Nel corso del tempo, però, è sempre possibile cambiare idea.
Al contrario, chi decide di versare il TFR in un fondo pensione non potrà più tornare sui suoi passi. E allora cosa conviene, tra le due soluzioni? La diversa tassazione, che affrontiamo qui di seguito, potrebbe incidere sulla scelta.
La tassazione del trattamento di fine rapporto
La tassazione del TFR cambia in base a dove si sceglie di destinarlo: vediamo come.
Azienda
Se si decide di lasciare il trattamento di fine rapporto in azienda, sulla quota non viene applicata alcuna tassazione, se non al momento della liquidazione. Tuttavia, una volta concluso il contratto, scatta l’imposizione fiscale, calcolata in base al reddito medio degli ultimi cinque anni. Viene applicata l’IRPEF, da un minimo del 23% per i redditi fino a 15.000 euro fino a un massimo del 43% per i redditi superiori a 50.000 euro. In più, c’è la rivalutazione annuale che prevede un’imposta sostitutiva del 17%.
Fondo pensione
Per quanto riguarda il TFR versato nel fondo pensione, il Legislatore ha previsto una tassazione agevolata. Le tasse vengono applicate quando il dipendente accede alla prestazione come rendita o eventualmente come capitale. L’imposta minima sul capitale va dal 9% al 15%, in base agli anni di permanenza nel fondo. Sui rendimenti del fondo, invece, si applica il 12,5% per i Titoli di Stato e 20-26% per altre forme d’investimento.
Non dimentichiamo però la deducibilità: i dipendenti possono dedurre dal 730 fino a 5.164,27 euro, incluso anche quanto versato dai loro familiari e dall’azienda in qualità di welfare (che approfondiremo tra poco). Ad esempio, se una persona guadagna 20.000 euro all’anno e versa 2.000 euro al fondo pensione, l’imponibile IRPEF scende a 18.000 euro.
Si può spostare il welfare nel TFR?
La risposta immediata è sì, ma la domanda successiva è: perché farlo? Semplice, per i vantaggi fiscali e la possibilità di dedurre il welfare versato dal 730 fino alla quota massima di 5.164,27 euro, che abbiamo precedentemente citato.
Per potere cogliere questo vantaggio, il datore di lavoro deve attivare un piano welfare. Si può inoltre decidere se versare tutto il budget welfare nel fondo pensione, oppure solo una parte. Ricordiamo che l’importo del welfare dipende da quanto indicato nei CCNL, nel caso sia obbligatorio, oppure può essere liberamente stabilito dall’azienda.
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